Terreno agricolo
anno
2022
misure
130×100
tecnica
Fogli di archivio e ramato
Superfici
ANNO
2022
MISURE
40×50
TECNICA
Fogli di archivio e stampa fotografica
Terreno agricolo, ci offre uno spunto dalla prospettiva della storia sociale.
In un paesino dell’entroterra salentino, durante un peregrinare solitario e probabilmente anche un po’ inquieto, l’artista trova in un edificio diroccato degli scatoloni contenenti fogli ingialliti. Era un archivio abbandonato e quei fogli raccoglievano i documenti catastali dei terreni della zona. Li porta con sé e inizia una faticosa ricerca per identificare quegli appezzamenti. Vuole colmare il vuoto lasciato dalla prassi catalogatoria, dalle griglie numeriche che hanno soppresso l’energia che ha animato quei luoghi. Grazie a qualche testimone diretto, rintraccia e fotografa alcuni di quei terreni, e da lì prende vita il ciclo Superfici. Altri terreni sfuggono all’identificazione, ma quei fogli ingialliti continuano a occupare i suoi pensieri e il suo tavolo da lavoro, fino a che non decide di attribuire una fisionomia immaginaria ai terreni mancanti tracciando delle campiture geometriche con il ramato, lo stesso composto verde-celeste a base di zolfo che viene usato da secoli per difendere le piante dai parassiti.
Alla fine ne viene fuori un grande collage astratto, i cui elementi costitutivi provengono dalla storia materiale e immateriale di un paesaggio agricolo e dei suoi abitanti; l’astrazione pittorica restituisce calore e densità memoriale alla datità fredda dell’astrazione amministrativa.
Questo paesaggio rurale immaginario, le cui componenti derivano dalla sua stessa vicenda archivistica (i fogli/raccoglitori) e da una materia (il ramato) che appartiene alla tradizione agricola, racconta di una natura organizzata, coltivata, racconta delle vite di uomini e di piante che si sono reciprocamente e ciclicamente intrecciate le une alle altre, condividendo la stessa terra e lo stesso cielo.
Il celeste-verde di questa mappatura mi fa venire in mente la proposta suggestiva di Emanuele Coccia quando ipotizza un punto di vista che dal basso della terra si sposti verso il cielo, invitandoci a pensare ai nostri corpi non soltanto nel loro radicarsi al suolo ma come coinquilini del cielo, in compagnia delle piante, degli animali, del costruito minerario (le case) e soprattutto insieme al vento, alla pioggia, alle nuvole e ai tanti agenti atmosferici che come noi popolano lo spazio dell’aria. «Siamo ossessionati dal suolo. Ci diamo un’identità in funzione della porzione di suolo che ha ospitato la nostra venuta al mondo. Misuriamo la proprietà privata a partire dalla geometria del suolo. Pretendiamo avere delle radici che ci legano a lui. E tuttavia… il nostro vero spazio di vita non è il suolo, ma il cielo: infatti, tutto lo spazio che esiste dalla pianta dei nostri piedi fino alle frontiere della Via Lattea e oltre è già tutto cielo»*… Probabilmente potremmo tenere in piedi entrambe le prospettive, alleggerendo quella sul suolo e abbracciando quella del cielo, a patto di non rimuovere la consapevolezza della Storia, di non smettere di tenerla al nostro fianco, altrimenti, pur abitando il cielo, potremmo commettere gli stessi errori del passato, potremmo risultare impreparati a ragionare su un nuovo orientamento. ( Daniela Bigi )